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della sua femminilità, della sua maternità ella non faccia soltanto ragione di virtù o di peccato, soltanto argomento di fisiologia, iniziale e finale.

L’amore — chiamiamolo così questo nome pudicamente convenzionale — è una funzione qualunque: rimettete l’amore anche per la esistenza della donna allo stato di funzione, concorrente, insieme alle altre e secondo la rispettiva e relativa importanza, al suo benessere fisico ed alla sua soddisfazione morale. E non adopratevi, con accanimento degno di miglior causa, ad inculcare nella donna il convincimento che questa funzione è, e deve essere, fine a se stessa; che, al di là delle funzioni da soddisfare, la donna — al contrario dell’uomo — non ha delle missioni da compiere, non ha delle idealità da coltivare.

Nessuno domanda ch’ella si butti ai fracassi, alla politica, alla concorrenza professionale contro il maschio. Ma quanto “bene” da fare al mondo, in tutti i modi, per tutti e per tutte! E questo “bene” nessuno si è mai data la pena di mostrarcelo, a noi donne. Non ci fu mostrato che il male, sempre ― sempre!