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Era una bella sera di novembre. Non faceva freddo e non era tardi: ma la notte era già sopraggiunta. Eravamo esausti, e tristi del delirio di un ultimo addio, nel quale avevamo voluto annichilare perdutamente l'anima nostra, forse nella speranza di non udirla piangere più. Giunti in piazza di Spagna, voi proponeste di risalire la scalea della Trinità dei Monti.

Così ne andammo su, per la faticosa via, appena rischiarata, e voi sorreggevate la mia persona validamente, con la giovine mano robusta. Un gradino dopo l’altro, silenziosi e stanchi, ma meno tristi, ormai, come se quella ascesa ci conducesse fuori del fango, su, su, verso qualcosa di alto, e di luminoso, verso un’atmosfera meno pesante. Al sommo, voi, Tristano, vi appoggiaste al mio braccio, e così, uniti, e senza parola, volgemmo verso il Pincio. Non faceva freddo, e la mia pelliccia non serviva ad altro che a darci la soavità della sua carezza sulle gote e sulle mani.

Che cosa dicemmo, nel deserto e buio viale della villa Medici? ... Molte e confuse e tenere