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Così, tra voi e me, un grande errore e, forse, una grande colpa, si intromise, avvincendoci. Dal nostro primo all’ultimo nostro convegno — e non furono molti — non mai fra noi si levò, puro, un attimo di sincerità passionale. Noi mentimmo sempre a noi stessi, imponendoci il martirio di figurazioni infinite, che ci dassero l’acre piacere di sensazioni preziose e nuove, sempre miserevolmente assurde. Ora, ripensandovi, io vedo tutto il grottesco, tutto il vacuo, di quelle nostre ore di amore, così febbrilmente desiderate nell’illusione della lunga vigilia, così desolatamente trovate vane nel lungo domani. Da quei rari convegni noi uscivamo affranti, tristi fino alla morte, con un peso angoscioso sul cuore — un rimorso.

Quale aberrazione ci teneva? Non vedevamo noi, in un ultimo barlume di ragione, il delitto immenso ed imperdonabile, per cui da noi stessi ci inchiodavamo alla gogna del ridicolo?