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a ritirare una lettera, che attendevo. C’era molta gente allo sportello — la ressa bizzarra di donnine, di spostati, di forestieri, che aspetta il biglietto dolce, l’impiego, o la corrispondenza timbrata di bolli esotici. Io domandai al mio nome, e con mio grande stupore — e non senza stupore di coloro, che mi premevano alle spalle, aspettanti a lor volta — l’impiegato mi consegnò un vero fascio di lettere. Incerta lo presi, fra gli sguardi invidiosi delle donne e qualche risa d’uomo, e mi scostai a guardare donde mai mi venisse una cotal valanga epistolare.

Erano dodici buste, tutte di egual formato e di eguale calligrafia, a me sconosciuta. Venivano da Firenze.

Del tutto sbalordita, le mille miglia lontana dal supporre la verità, ne aprii a caso una, e guardai la firma. Eravate voi, Tristano!

Ma qual maggior meraviglia fu la mia, quando, ridotta nella mia casa, io ebbi decifrato, non senza fatica, l’intricato dedalo delle vostre lettere! ... Tutte le confidenze che un fanciullo può fare ad