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torpore della sorpresa dell’angoscia e dell’ansia in cui erano cadute dopo il loro disastro, e, forti del diritto, che ha ogni accusato di domandar la parola dinanzi il tribunale accusatore, elleno concionano quella folla medesima, che le aveva sputacchiate, avvinte alla berlina della piazza.
Più risolute o più fortunate di Viviana, esse non attendono le ore tremende dell’agonia per gettare in faccia alla società il loro acerbo rimbrotto, ma si ribellano ancor vive e giovani e pronte a riprendere la lotta contro il destino che le ha condannate al fallimento morale e sociale.
Io non ho letto le memorie di Luisa di Toscana, pubblicate a Vienna e sconfessate dalla protagonista medesima come apocrife. E non ho letto quelle che Linda Murri ha affidato all’abilità letteraria di una romanziera italiana. Della prima, io conosco tutta intera la vita — narratami nella pace, volgaruccia e toscana, della villa Papiniano; — della seconda so tutto quanto è risultato dal processo e tutto quanto immagino — che è certo di più, e di più esatto di quelle risultanze medesime.