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pane ed il companatico, non è neppur soltanto quella di far unicamente opera d’arte. La perfezione dell’opera deve essere mezzo, non fine, a chi voglia che il proprio nome non muoia imbozzacchito innanzi il levare del sole.

L’artista, che non sia un vano accozzator di forme, un vano manipolator di luci, ha il còmpito precipuo di far, della propria arte, un mezzo di educazione morale, di far sprizzare, dal proprio intelletto, la fiamma che deve in un grande bagliore illuminargli l’orizzonte indefinito del futuro, perchè ne possa cogliere il mistero e lo possa presentare, tutto ragrante della sua precocità, allo sguardo stupefatto del contemporaneo.

Cinque anni addietro, quando io scrissi questo libro, la mia audacia parve grande disse coraggiosa e chi l’affermò cinica.

Passa il tempo ed ha le gambe sì buone e si veloci al corso, che alcuno non lo crederebbe quel vecchione che è, anzi un validissimo corridore di Maratona. E tutto passa con lui e precipita nel trapassato remoto, anche le audacie coraggiose o