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né la prospettiva della rivoluzione sociale, empiono lo stomaco.

Che cosa volete, dunque, che io vada a fare al letto di un malato, nella stamberga di uno scioperante, se non ho in mano di che ristorare quelle membra, e quello spirito? ...

Dire, forse, a quei miserabili che, benché il pane a me non manchi, io sono più miserabile di loro? Ohibò! Io avrei ancora l’ultimo smacco di vedermi ridere in faccia, perchè la gente che ha pane per lo stomaco e vesti per la persona non può, assolutamente, non essere felice.

E allora? ... Nulla mi resta a fare, don Flaminio, se non una cosa: morire. Ed è ciò che faccio — ed è ciò che sarà avvenuto, quando voi leggerete questa lettera.

Ah com’erano belli quei vostri papaveri, cosi arditi, e quelle vecce avvolgenti, e quelle grosse margherite gialle! .... Belli ed orgogliosissimi — e voi ne avete avuto pietà per questo, e non li avete sbarbicati. Io sono stata di quei fiori audaci e diritti, come in un trionfo. Ma poiché,