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ingegnosi ho dato, e tante ghirlande ho composto, non diceva nulla alla mia anima. Il suo organo, su cui un povero maestro parodiava le cabalette di Donizetti o di Bellini per accompagnarne le funzioni, mi faceva ridere o rivoltava il mio senso artistico ... I suoi quadri crostosi, le sue lampade di stagno, i suoi candelieri d’ottone, che conoscevano la forza dei miei gomiti, mi parevano lacrimevoli emblemi di un culto stravagante. Persino la nicchia della Vergine Madre, benché costellata di cuori d’argento, mi pareva una povera cosa, a cui mancasse l’elemento primo: la logica. Le vostre cerimonie mi erano insopportabili, le vostre omelie, povero don Flaminio, mi pesavano infinitamente. Tutta la miseria, la grettezza, la dubbia pulizia di una chiesetta di campagna urtava il mio gusto, indisponeva persino il mio ragionamento, con lo spettacolo di una cosa troppo miserrima, perchè avesse nulla di comune con quel grandissimo Dio, del quale voi mi andavate catechizzando.

Ah! ... quando usciva da quelle pestifere funzioni — in cui la mia ingordigia del profumo era