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Ora io, don Flaminio, mi veniva diritta da un cotale semenzaio di incoscienza educatrice e di brutture palesi — onde, nel rovinio di ogni rispetto, invano, se bene a lungo, mi parlavate della possanza della Chiesa Cattolica, della bellezza della sua fede, della magnificenza dei suoi dogmi ... ed invano la vostra voce, nelle parole ferventi, aveva la profondità semplice e sonora della squilla del vostro campanile. Io vi ascoltava calma e gelida ... né, malgrado tutto l’ardore vostro, alcuna vostra parola riusciva a penetrarmi entro le viscere e suscitare quel grido di risurrezione, che voi — ed io stessa, forse — auguravate. Io non negava, né discuteva: vi lasciava parlare tranquillamente, con gli occhi dilatati sui verdi piani, bevendo, più che fiutando, il profumo di una corolla, sorridendo col viso eretto verso l’azzurro.
Ah! troppo io adorava la vita e la natura, troppo io ne sentiva il grande rispetto — in contrasto con la noncuranza di ciò che mi si era insegnato a chiamar religione — perché i vostri rigidi precetti mi sembrassero, nonché adottabili,