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Da quel giorno, caro don Flaminio, foste tutto mio. Senza volerlo e solo in virtù di quella spontaneità di cuore, che mi ha fatto sempre profondere ogni cosa di me, io vi aveva conquistato. E la conquista fu poi definitiva quando, un pomeriggio, vedendovi passar frettoloso dinanzi alla nostra casa, vi pregai di permettermi di accompagnarvi.

Andavate ad assistere una povera donna, quasi agonizzante, divorata di malaria, presso a divenir madre. Lungo la via voi mi avevate detto, in poche parole tremanti di pietà e di lacrime, l’infinita miseria spirituale e materiale dei vostri parrocchiani: ignoranti e famelici, come segregati dal mondo, in quella pianura lucente di verde infinito, ma insidiosa di paludi pestifere. Ed alle parole vostre io tutta m’era profferta per aiutarvi del mio meglio nell’opera santa. Una grande ansia di bene mi teneva fino da allora: vedere un bimbo gridar di giubbilo per una ghiottoneria ed una fanciulla arrossire di piacere per una pez-