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me ne discostai, non rassegnata, anzi ribelle, anzi piangente, ma discosta, come da un pericolo che poteva inghiottirmi.
Che farci?... La vita ha di queste esigenze; la società, in cui ci muoviamo — automi quasi, tanto essa ci sottrae di responsabilità personale, a beneficio delle sue leggi generali — ha di queste implacabili esigenze. Non importa, se l’anima è pura, come la trasparenza del diamante: bisogna ottenebrarla, coprirla, mettervi sopra, quasi una buffonata d’orgia, la maschera della menzogna e, così, cacciarla a forza di pungolo, entro il baccanale della festa vergognosa, che si chiama il convenzionalismo sociale.
Mentire bisogna! Vestire altri panni bisogna. Bisogna stringere la mano, a chi si disprezza e volgere le spalle a chi si stima — dire alla persona odiata: ti amo — dire alla persona amata: ti odio — dire, alla massa brulicante e schifa come un verminaio: siete miei fratelli! E, nel rossore della menzogna, sentirsi più abietti e schifi del verminaio, e dire ancora: io sono la virtù, io sono l’onore!