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Ma l’ora giunse, in cui ci convenne destarci dal sogno. Tu dovevi tornare in città: eri appena laureato e già l’avvenire sorrideva al tuo ingegno mirabile, di tutte le sue promesse più gloriose. A lungo, nelle nostre verdi passeggiate — verdi di speranze e di prati infiniti — noi avevamo architettato il futuro e, nell’edificio, avevamo incastonato tutti gli ori e le gemme delle lusinghe più accattivanti.
Questo doveva essere: io avrei lasciato la vecchia zia, il misero paesello lombardo, e sarei venuta con te. Tu eri smarrito nella casa vuota: avevi bisogno di una donna, che ti fosse aiuto e conforto e tu volevi che quella donna fossi io — sorella ed amica.
Al progetto — che mi pareva divino — io aveva annuito non solo, ma su esso aveva fabbricato, con la rapidità di tutti i castelli fondati sull’illusione, una intera vita di avvenire dolcissimo e felice. L’esistenza comincerebbe per me alfine: io vivrei e amerei — e amerei sopra tutto!
Ma la zia nemica non l’intese così. Con tutta