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capitolo decimosecondo. 67

gare insieme che salvarsi, senza stendere una mano al congiunto, all’amico che implora pietosamente soccorso.

Io per me sperava come gli altri nella venuta del generale; sperava che i segni, i monumenti della nostra grandezza passata lo avrebbero distolto dalla crudele e premeditata indifferenza, ch’egli già cominciava ad ostentare a nostro riguardo. Ma invece del generale, trattenuto da rimorsi o da vergogna, non ci capitò che sua moglie, la bella Giuseppina. Essa sbarcò in Piazzetta con tutta la pompa d’una dogaressa; e ne aveva se non la maestà certo lo splendore in quelle sue sembianze di vera creola. Tutta Venezia fu a’ suoi piedi; coloro che avevano accarezzato Haller, il banchiere, l’amico di Bonaparte, per ottenerne una prolungazione di agonia alla vecchia Repubblica, accarezzarono, adularono, venerarono allora la moglie del sensale dei popoli, perchè non si uccidesse prima della nascita quell’aborto nuovo di libertà. Io pure mi pavoneggiai colla mia splendida tracolla di segretario nel corteggio dell’Aspasia Parigina. Vidi la sua bella bocca sorridere alle gentilezze veneziane, udii la sua voce carezzevole bisbigliare il francese quasi come un dialetto italiano; io che ci avea studiato un pochino in quei tempi di infranciosamento universale, balbettava a mia volta l’oui ed il n’est pas con taluno degli ajutanti di campo che l’accompagnavano. Infine fosse prestigio di bellezza, o apparenza di buona volontà, o tenacità di lusinghe, le speranze degli illusi ebbero qualche ristoro dalla visita di quella donna. Perfino mio padre non iscrollava più il capo, e mi spingeva ad avanzarmi, a farmi vedere nella prima fila degli adulatori.

— Le donne, figliuol mio, le donne son tutto, — mi diceva egli. — Chi sa? forse il Cielo ce l’ha mandata: da picciol seme nascono le grandi piante; non mi stupirei di nulla. —

Invece il dottor Lucilio, che addomesticato col mini-