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contrario; e superbo in volto ma disperato nell’animo s’affrettava a giovarsi di quegli ultimi favori della fortuna, per soddisfare il voto supremo del suo cuore. Vedeva capitombolare que’ bei castelli in aria di libertà politica, di gloria, e di pubblica prosperità, e sperava salvarsi, aggrappandosi con un’àncora alla felicità domestica. Con tali pensieri nel capo s’avviò al convento di Santa Teresa, annunciò alla portinaja il proprio nome, e chiese di avere in Parlatorio la contessina Clara di Fratta. La portinaja scomparve nel monastero, e tornò indi a poco a riferire, che la nobile donzella desiderava sapere la cagione della sua visita, che ella avrebbe cercato di soddisfarlo senza distogliersi dal raccoglimento claustrale. Lucilio trabalzò di sorpresa e di rabbia; ma vide sotto questa risposta una gherminella fratesca, e tornò a ripetere alla portinaja che un suo colloquio colla signora Clara era necessario, indispensabile; e che la signorina doveva ben saperlo anche lei, e che nessuno al mondo poteva negargli il diritto di reclamarlo. Allora la conversa rientrò ancora; e tornò dopo pochi istanti a dire con faccia arcigna, che la donzella sarebbe discesa indi a poco in compagnia della madre compagna. Questa madre compagna non andava giù pel gozzo a Lucilio, ma egli non era uomo da prendersi soggezione d’una monaca, e aspettò un po’ irrequieto, misurando a gran passi il pavimento marmoreo, rosso e bianco, del parlatorio. Passeggiava a quel modo da lunga pezza quando entrarono la madre Redenta e la Clara: quella col collo torto, cogli occhi bassi, colle mani incrocicchiate sullo stomaco, e i mustacchietti del labbro superiore più irti del solito: questa invece tranquilla e serena come sempre; ma la sua bellezza erasi illanguidita pel chiuso del monastero, e l’anima ne traluceva più pura e ardente che mai, come stella da una nebbia che va diradando. Erano molti anni che i due amanti non si vedevano così dappresso; pure non diedero