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584 | le confessioni d’un ottuagenario. |
fu una corsa sfrenata. Gli Indiani infatti avevano assaltato di nottetempo le caserme, inchiodato i cannoni, e scannati per sorpresa gran parte degli uomini, facendo prigioniere le donne.
I pochi superstiti si erano rifugiati alla residenza; ma colà appunto si era rovesciata proprio nel momento del nostro ritorno la rabbia dei selvaggi. Gridavano di voler uccidere i capi bianchi, ch’erano venuti a spodestarli della pianura e della riva del Gran Fiume, e lanciavano contro le mura frecce e macigni. Il dottore coi suoi pochi soldati si difendeva gagliardamente, e dava tempo ai coloni del paese di armarsi e di correre in aiuto; fors’anco noi potevamo capitar a tempo e tutto era salvo. Ma a quelle fiere rabbiose capitò in mente il ripiego dell’incendio; grande ammasso di canne delle vicine fattorie furono cacciati intorno alla Sopraintendenza, e per opposizione che facessero i rinchiusi, in breve un immenso vortice di fuoco invase i fabbricati. Allora furono veduti prodigi di valore e di disperazione; donne che si precipitavano nelle fiamme, uomini che si gettavano dalle finestre, e usciti semivivi dall’incendio si facevano strada col pugnale traverso ai selvaggi, schiavi e schiave che facevano schermo del proprio petto ai padroni, soldati che si piantavano le spade nel cuore piuttostochè correre il pericolo di esser arrostiti vivi.
Il dottor Ciampoli uscì dalla porta laterale, dinanzi alla quale le fiamme erano meno dense; aveva intorno una scorta di sei uomini disperati e fedeli, dietro il Fabietto che con coraggio maggiore dell’età sua si trascinava per mano e quasi portava la Gemma. Il padre procedeva innanzi, colla spada in una mano e il pugnale nell’altra. Sperava aprirsi un varco fra i nemici, ma usciti tutti a salvamento dall’incendio, tosto fu loro addosso una frotta tumultuosa di pelli–rosse. Parevano demonii guizzanti alla