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capitolo ventesimoterzo. 581

coraggioso missionario arrischia la vita, per insegnare ai selvaggi quell’abbicì della civiltà che è il cristianesimo. Il maresciallo Giorgi, l’invincibile duca di Rio–Vedras, ha fatto assai colle carabine, ma più faranno, credo, questi preti ignoranti e pazienti. Qui Voltaire ha ancora torto. Insomma se non fosse la lontananza, l’incertezza delle corrispondenze, e quella smania di novità che accresce sempre mano a mano che si veggono cose più nuove e stupende, torrei volentieri di finir qui la mia vita. Ma Venezia?... Oh non pensiamoci!... Papà e mamma, vi rivedrò io mai più?... In cielo, è certo.

Rio Ferreires, giugno 1851.

Quanti mesi che non aggiungo nulla a queste poche note del mio esilio; ma converrebbe appunto o scrivere un volume al mese o restarsi. Qui tutto nuovo strano, inopinato; ma dopo le lontane escursioni fra le tribù selvagge, si torna sempre alla pace e alla giocondità della famiglia. Il dottore è contentissimo de’ suoi negozi. — Ancora un anno, mi dice, e rivedremo Genova!... Ma voi perchè non prendete parte al nostro commercio?... perchè non vi arricchite? — Egli crede che la mia famiglia sia povera, nè suppone giammai che la loro compagnia fosse grandissimo motivo di trapiantarmi nel Mato–Grosso; perciò rispondo che non ho grandi bisogni, che son giovine, ed è mia sola ambizione lo avvezzarmi alle rischiose fazioni militari e tornar in Italia scarso di denari ma ricco d’esperienza. La Gemma sorride di queste mie parole, e il Fabietto strepita ch’egli pure vuol esser soldato e comandare l’esercizio. Il diavolino si fa robusto ed animoso; cavalca vicino a me le mezze giornate, e se usciamo a caccia mi vince nell’aggiustatezza del tiro. Ma io ho compassione di uccidere uccelli di sì vaghe piume, che ci guar-