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578 le confessioni d’un ottuagenario.

menti e serragli di montagne che s’aggruppano, s’addentrano, s’addossano le une alle altre circondate da boschi misteriosi, e vomitanti frammezzo alle nevi eterni vortici di fiamme. Piante secolari, ognuna delle quali sarebbe, sto per dire, una selva sui fianchi scarnati dell’Appennino; vallate dove l’erba nasconde tutta una persona, e i tori selvatici fuggono cornando l’aspetto d’un uomo; torrenti abbandonati in cascate di cui l’occhio misura appena l’altezza, e le acque si disperdono in una lieve atmosfera nebbiosa, che occupa tutta la valle e la immerge in un’iride incantevole; le viscere della terra chiudono l’oro e l’argento, i macigni si spaccano e ne escono diamanti; il gran fiume si volve immenso e tortuoso, come un gran serpente addormentato fra rive ombrose di banani e di catalpe. La terra lussureggiante, il sole infocato, il cielo quasi sempre sereno, ma la fresca brezza delle Ande consola ogni giornata di qualche ora di primavera.

Oh se si avessero qui le grandi ferrovie delle valli dell’Ohio e del Mississippì! Se questa provincia non fosse lontana tre mesi di cammino da Rio Janeiro! È inutile: la distanza aumenta la mestizia della separazione, e per quanto sia irragionevole, due anni nel Mato–Grosso devono sembrar più lunghi di dieci e di venti in Francia od in Svizzera. Pure Venezia è tanto in Francia ed in Svizzera come nel Mato–Grosso, ma sembra che l’aria ci porti più facilmente qualche sospiro dei nostri cari.

Noi siamo alloggiati da principi, ma la natura ci fa le spese, e la mano dell’uomo ci ha poco merito. Una casa costrutta di pietra viva ma che somiglia una tenda, tanto è aperta per ogni lato da loggie, da atrii, da gallerie; dietro un gran giardino che finisce alla sponda del fiume, dinanzi un cortile dove s’affaccendano gli schiavi e nitriscono i puledri quando sulla sera li raccolgono nelle stalle. La città si stende nella pianura sopposta, e giunge an-