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capitolo ventesimoterzo. 577

di Rio–Vedras; ma egli abbandonò tutto per volare a Venezia. Così vorrei vivere, così morire anch’io. Nè pretendo diventar duca; mi basterebbe che fossi annoverato fra i benemeriti della civiltà.

Ora si ha la speranza che il dottor Ciampoli possa esser mandato come sopraintendente delle miniere, in quella stessa provincia che fu campo di tanta gloria al maresciallo Giorgi. Io lo seguirei con una scorta di bersaglieri a piedi ed a cavallo. Ma questo non avverrà che nell’autunno.

Rio Ferreires, novembre 1850.

Non so oggimai perchè vado continuando, ogni cinque o sei mesi, questa mia storia affatto inconcludente. Quello ch’io scrivo la mia famiglia lo seppe già per lettere, e io non sono un letterato ch’abbia in animo di stampar la sua vita: tuttavia l’abitudine mi padroneggia; ho cominciato a imbrattar carta parlando di me, e ci ho pigliato gusto, e di tanto in tanto debbo obbedire ad un ghiribizzo. Fortuna che è discreto, poichè dal principio dell’anno non ho empito che due carte, e prima che riprenda la penna dopo averla lasciata questa volta, Dio sa quanto tempo vorrà passare!... Convengo peraltro col mio capriccio, che questi paesi sforzano a scrivere. Partiti una volta, bisognerà ricorrere ai segni scritti della nostra ammirazione per non credere che la memoria ci inganni, e che il prisma della lontananza ci cangi i minuzzoli in montagne, e in diamanti i sassi. Tutto qui è grandioso, intatto, sublime. Montagne, torrenti, selve, pianure, tutto serba l’impronta dell’ultima rivoluzione che ha sconvolto il creato, e trattone l’ordine meraviglioso della vita presente. Ma la vita della natura somiglia qui tanto all’europea, come la cadente esistenza d’un vecchio alla robusta e piena salute del giovine. Accavalla-