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capitolo ventesimoterzo. 567

scannata e le recise teste dei Gracchi bruttarono le più belle pagine della sua storia. Il pugnale di Bruto atterrò un gigante, e aperse la strada ai nipoti striscianti nel fango. Ed anche ora proviene da un assassinio l’audacia del grande conato. Ne giudichi Iddio. Certo, anche la coscienza ha i suoi momenti d’ebbrezza, che non offuscano per altro l’immutabile santità delle leggi morali. Ma rifiuteremo noi gli effetti per la turpitudine della causa? E chi avrà il diritto di chieder conto ad un’intera nazione del delitto d’un uomo? Le storie vanno piene di simili esempi; e forse nell’ordine immenso della Provvidenza, le grandi colpe sono compensate da più grandi e generali virtù. Se fossimo anco destinati a nuove disgrazie, a funeste cadute, non accuserò il coltello d’un assassino della rovina d’un popolo. Dio punisce ma non vendica. Altre colpe non ancora scontate vorranno altre lagrime, e l’assassino nasconderà nelle tenebre i suoi rimorsi, e noi mostreremo alteramente, alla faccia del sole, il capo coperto di cenere, e gli occhi splendenti di speranza.

Roma, giugno 1849.

Aveva giurato di non aggiungere una parola, se non avessi a scrivere la mia redenzione. Eccomi finalmente!... Ho ripreso il mio nome, l’onor mio! La mia famiglia, la mia patria saranno contente di me, ed io godo nel vergar queste righe di sentir il dolore della ferita, e di veder la pagina imbrattarsi di sangue.

V’hanno nella mia legione alcuni giovani padovani, che altre volte conobbi. Costoro mi sopportavano assai malvolentieri, e credo mi designassero alla diffidenza dei compagni; ma io fingeva non m’accorgere di nulla, aspettando che i fatti parlassero per me. Era tempo, giacchè temevo che a lungo andare avrei perduto ogni pazienza.