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capitolo ventesimoterzo. 565

giorno i miei più accaniti detrattori; ma in seguito mi spiavano più vogliosamente degli altri, e pareva quasi bramassero di rappiccare la vecchia amicizia. A me non istava correr loro incontro; li aspettai. Ma oggi sento che partirono per Torino, ove si stanno ordinando alcuni reggimenti lombardi. Anch’io ebbi il ticchio di accorrer colà, e d’inscrivermi in quelle schiere; ma la modestia m’impose nuovamente di non far pompa del mio valore; fors’anco fui consigliato da un resticciuolo d’orgoglio, a non esporre la mia penitenza agli sguardi dei conoscenti e degli amici. Parrebbe ch’io chiedessi il perdono delle colpe che non ho, mentre voglio meritarlo di quelle che ho, e pretendo insieme riparazione delle altre iniquamente imputatemi.

In mare, dicembre 1848.

Per te, padre mio, per te soltanto io mi tolsi di scrivere questi cenni della mia vita. Acciocchè se morissi lontano, tu abbia in quelli una prova che al tutto non fui indegno del nome che porti, e ch’io riprenderò scendendo nel sepolcro, o tornando ribenedetto fra le tue braccia. Oh come nei primi giorni d’esiglio mi pesò grave sul capo il sospetto della tua maledizione! Ma tu hai creduto alla veracità delle parole che ti scrissi da Padova; non badando alla mia vita dissoluta e superba t’affidasti alla costanza dei nuovi proponimenti, e appena puoi conoscere il luogo di mia dimora, ecco che mi giungono da te parole di lode, di conforto, di benedizione! Oh come ho baciato riverente e commosso quel foglio, che mi recava la certezza dell’amor tuo, della tua stima! Ti ringrazio, o padre mio, perchè ti sei fatto solidale e rivendicatore dell’onor mio, presso i nostri concittadini. Certo, che le tue parole meglio che le mie opere varranno a redimermi dal loro disprezzo; ma lascia tuttavia ch’io combatta e vinca da me solo, finchè possa