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capitolo decimosecondo. 49

olio agonizzava sopra un tavolino appoggiatosi al muro per non cadere. Del resto una vera camera da affittare, senza mobiglie, senza cortine, col pavimento di assicelle sconnesse, e il solajo di travi malamente incalcinate. Le pareti nude e lebbrose, le porte e le finestre tanto ben riparate, che la fiamma miserabile della lucerna stava sempre per ispegnersi. Accanto alla Contessa un vecchietto slavato, bianco, paffutello sedeva sopra una scranna di paglia; egli portava l’elegante arnese dei patrizii, ma una tossicina ostinatella e grassiccia contrastava alquanto colla gioventù di quell’acconciatura. La Contessa lesse sulle mie sembianze la maraviglia e il rammarico; laonde si compose alla sua più bella cera d’allegria per darmi una smentita.

— Vedi, Carlino? — mi diss’ella con un brio piuttosto forzato — Vedi, Carlino, se sono una madre di famiglia bene avveduta? La rivoluzione ci ha rovinati, ed io mi rassegno a ristringermi a sparagnare per queste care viscere di figliuoli!... — E in ciò dire guardava la Pisana che le si era seduta a fianco rispetto al nobiluomo, e teneva gli occhi sul petto e le mani nelle tasche del grembiule.

— Ti presento mio cugino, il Nobiluomo Mauro Navagero — continuò ella; — un cugino generoso e disposto a stringere vieppiù con noi i vincoli della parentela. In poche parole, fino da questa mattina egli è il promesso sposo della nostra Pisana! —

Io credo che vidi in quell’istante tutte le stelle del firmamento, come se un macigno piombatomi addosso m’avesse schiacciato il petto: indi, a quel balenìo di stelle successe una cecità d’alcuni secondi, e poi tornai ad ascoltare e a guardare senzachè potessi raccapezzarci nulla di quelle faccie che aveva intorno e del ronzio che mi sussurrava nelle orecchie. M’immagino che la Contessa si sarà dilungata a magnificarmi il decoro di quel parentado; certo