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554 le confessioni d’un ottuagenario.

sivi mi lasciavano molto dubbioso sulla sua sorte; la Pisana avanzata nella gravidanza s’avviava col marito ai martirii dell’esiglio: partì con loro, sopra un bastimento che salpava per Genova, Arrigo Martelli che avea seppellito a Venezia il povero Rossaroll... Quanti sepolcri, e quanti dolori viventi e lagrimosi sopra i sepolcri!...

Restammo soli io e l’Aquilina, oppressi, costernati, taciturni; simili a due tronchi fulminati in mezzo a un deserto. Ma la dimora di Venezia ci diventava ogni giorno più odiosa e insopportabile, sicchè di comune accordo ci trapiantammo in Friuli, nel paesello di Cordovado, in quella vecchia casa Provedoni, piena per noi di tante memorie. Là vivemmo un paio d’anni nella religione dei nostri dolori; infine anch’essa la povera donna fu visitata pietosamente dalla morte. E rimasi io. Rimasi a meditare, e a comprendere appieno il terribile significato di questa orrenda parola: — Solo!...

Solo?... ah no, io non era solo!... Lo credetti un istante, ma subito mi ravvidi; e benedissi fra le mie angosce quella santa Provvidenza che a chi ha cercato il bene e fuggito il male concede ancora, supremi conforti, la pace della coscienza, e la melanconica ma soave compagnia delle memorie.

Un anno dopo la morte di mia moglie ebbi la visita tanto lungamente sperata di Luciano e di tutta la sua famiglia: aveva due ragazzetti che parlavano meglio assai il greco che l’italiano, ma tanto essi che la loro madre mi presero a volere un gran bene, e fu per tutti assai doloroso il momento della dilazione, la quale Luciano avea fissato al sesto mese dopo il loro arrivo, e non fu possibile ottenere la protrazione d’un giorno. Egli era fatto così; ma per quanti difetti abbia, gli è pur sempre mio figliuolo, e lo ringrazio di essersi ricordato di me, e penso con profondo dolore che non devo mai più rivederlo.