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552 le confessioni d’un ottuagenario.

— Oh, Carlino! — mormorò Alessandro. — Addio, Carlino! Se vuoi che faccia qualche cosa per te, non hai che a parlare. L’Imperatore del Brasile è mio amico. —

Bruto mi strinse la mano perchè non era affatto fuori di sè; ma indi a poco tornò a svariare anch’esso, e ambidue svelavano in quelle ultime fantasticaggini dell’anima tanta bontà di cuore e tanta altezza di sentimenti, che io piangeva a cald’occhi e mi disperava di non poter trattenere i loro spiriti che si alzavano al cielo. Tornarono in sè un momento per salutarmi, per salutarsi a vicenda, per sorridere e per morire. La Pisana, l’Aquilina ed Enrico, che vennero indi a poco, mi trovarono piangente e genuflesso fra due cadaveri. Il giorno stesso moriva nel campo dell’assedio sotto Mestre il general Partistagno. Aveva, lontani di là poche miglia, numerosi figliuoli de’ quali nessuno potè consolare i suoi ultimi momenti.

Dopo aver chiuso gli occhi a due tali amici, mi parve che non fosse un peccato desiderare la morte; e mi levai col pensiero alla mia Pisana che forse mi contemplava dall’alto dei cieli, domandandole se non era tempo ch’io pure passassi a raggiungerla. Un’intima voce del cuore mi rispose che no: infatti altri tristissimi ufficii mi restavano da compiere. Pochi giorni appresso il conte Rinaldo fu colto dal cholèra che già cominciava la sua strage massime nel popolo affamato. Le bombe avevano accalcato la gente nei sestieri più lontani da terraferma, ed era uno spettacolo doloroso e solenne quella mesta pazienza, sotto a tanti e così mortiferi flagelli. Il povero Conte era già agli estremi quand’io giunsi al suo capezzale; sua sorella, incurvata dagli anni e dai patimenti, lo vegliava con quell’impassibile coraggio che non abbandona mai coloro che credono davvero.

— Carlino, — mi disse il moribondo — ti ho fatto chiamare, perchè nei frangenti in cui mi trovo mi risov-