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550 le confessioni d’un ottuagenario.

— E perchè mo non avevate bisogno di scrivervi?

— Perchè... perchè ci vedevamo quasi ogni sera.

— Ogni sera vi vedevate?... Ma se fuori dell’inferriata io ho fatto inchiodare le imposte di quella maledetta finestra?...

— Papà mio, scusatemi; ma poichè la mamma s’era addormentata io scendeva pian piano ad aprirgli la porta della Riva...

— Ah sciagurati! ah sfacciata!... in casa lo tiravi!... tiravi l’amante in casa!... Ma se di chiavi di quella porta non ce n’ha che una, e l’aveva sempre io vicino al letto!...

— Appunto... papà mio; non andate in collera, ma tutte le sere quella chiave io te la portava via, e la riponeva poi la mattina quando portava il brodo alla mamma.

— Scommetto io che mi giocavi questo bel tiro nel darmi il bacio della buona notte e quello della sveglia!...

— Oh papà, papà!... siei tanto buono!... perdonateci!...

— Cosa volete?... Vi perdonerò, ma col patto che nessuno ne sappia nulla; non vorrei che ne cavassero un libretto per qualche opera buffa. —

Enrico si stava tutto vergognoso, mentre la sfacciatella mi confessava tra supplichevole e burlesca i suoi tradimenti; ma io gli diedi del pugno sotto il mento.

— Va’ là, va’ là, non farmi l’impostore! — gli dissi — e prenditi la tua sposa, giacchè te l’hai guadagnata a Mestre. —

Infatti egli non fu zoppo ad abbracciarla, e andammo a terminar l’allegria nella camera dell’Aquilina. Tre settimane dopo Enrico era mio genero, ma gli imposi il sacrifizio di rimanere in casa nostra, perchè non voleva essere burlato e pagarne anche le spese. I miei vecchi amici onorarono tutti il pranzo di nozze, e fu provato anche una