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capitolo ventesimosecondo. 543

morir forse, certo ad espiar fortemente un errore di cui pur troppo mi confesso colpevole. Conforta mia madre, dille che il rispetto al vostro nome come al mio m’imponeva di partire. Io non poteva rimanere in un paese dove pubblicamente fui chiamato traditore, spia! E dovetti ingojar l’insulto e fuggire. Oh padre mio! la colpa fu grave, ma ben tremendo il castigo!... Ringrazio il cielo, e la memoria delle tue parole, che mi preservarono dal ribellarmi al sopportar quella pena, consigliandomi di cercar la pace della coscienza in un glorioso pentimento, non il contentamento dell’orgoglio in una vendetta fratricida. Di rado avrete mie novelle, perchè voglio che il mio nome resti morto, finchè non risuoni benedetto ed onorato sulle labbra di tutti. Addio, addio; e mi consolo nella certezza dell’amor vostro del vostro perdono!»

Volete che ve lo dica? La lettura di questa lettera mi rimise l’anima in corpo; temeva assai peggio, e mi maravigliai meco stesso che un animo superbo e impetuoso come quello di Giulio si fosse piegato a confessare i proprii torti, e a cercarne una sì degna espiazione. Ebbi il conforto di compiangere mio figlio invece di maledirlo; e mi rassegnai del resto a quell’imperscrutabile giustizia che m’imponeva sì fieri dolori. Guarito che fui, sebbene lo stato di mia moglie fosse ancora tutt’altro che rassicurante, e la desse di quando in quando segni palesi di pazzia, ripresi il mio servizio come colonnello della guardia; e poichè fu sparsa la novella della partenza di mio figlio e della lettera ch’egli m’aveva scritta, ebbi la soddisfazione di veder pietosi e riverenti verso la mia canizie forse coloro stessi che l’avevano vituperato. Tuttavia non ebbi di lui ulteriore contezza fino al maggio seguente, quando mi capitarono da Brescia alcune sue righe. Argomentai dal luogo, che si fosse arruolato nei corpi-franchi che difendevano da quel lato i confini alpestri del Tirolo, e si vedrà in seguito come mi apponessi