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capitolo decimosecondo. 47

Il tempo non è tempo che per chi ha denari a frutto: esso per me non fu mai altro che memoria, desiderio, amore, speranza. La gioventù rimase viva alla mente dell’uomo; e il vecchio raccolse senza maledizione l’esperienza della virilità. Oh come mai avrà a finire in nulla un tesoro di affetti e di pensieri che sempre s’accumula e cresce?..... L’intelligenza è un mare, di cui noi siamo i rivoli e i fiumi. Oceano senza fondo e senza confine della divinità, io affido senza paura ai tuoi memori flutti questa mia vita ormai stanca di correre. Il tempo non è tempo ma eternità per chi si sente immortale.

E così ho scritto un degno epitaffio su quegli anni deliziosi, da me vissuti nel mondo vecchio; nel mondo della cipria, dei buli e delle giurisdizioni feudali. Ne uscii segretario d’un governo democratico che non aveva nulla da governare; coi capelli cimati alla Bruto, il cappello rotondo colle ali rialzate ai lati, gli spallacci del giubbone rigonfii come due mortadelle di Bologna, i calzoni lunghi, e stivali e tacchi così prepotenti che mi si udiva venire dall’un capo all’altro delle Procuratie. — Figuratevi che salto dagli scarpini morbidetti e scivolanti dei vecchi nobiluomini! Fu la più gran rivoluzione che accadesse per allora a Venezia. Del resto l’acqua andava per la china secondo il solito, salvochè i signori Francesi si scervellavano ogni giorno per trovare una nuova arte da piluccarci meglio. Erano begli ingegni, e ce la trovavano a meraviglia. I quadri, le medaglie, i codici, le statue, i quattro cavalli di San Marco viaggiavano verso Parigi: consoliamoci che la scienza non avesse ancor inventato il modo di smuovere gli edificii, e trasportare le torri e le cupole: Venezia ne sarebbe rimasta qual fu al tempo del primo successore di Attila. Bergamo e Crema s’erano già occupate definitivamente per riquadrare la Cisalpina; dalle altre provincie si vollero radunare a Bassano deputati che giudicassero sul partito da pren-