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capitolo ventesimosecondo. | 541 |
lui. Non mi sarei immaginato mai più il colpo terribile che mi aspettava!...
Ne chiesi a casa Fratta, a casa Cisterna, e non seppero dirmene nulla, tentai a casa Partistagno, ove usava molto in quell’ultimo tempo, ma mi risposero che il signor Generale era partito da due giorni, bestemmiando contro i suoi sette figliuoli che tutti aveano voluto rimanere a Venezia, e che il signor Giulio non lo aveano veduto da una settimana. Mi venne in capo di cercarne contezza al Corpo di Guardia del nostro sestiere, e là mi toccò strappare dalla bocca di un giovine studente la triste verità. Il mattino Giulio era accorso insieme a loro all’Arsenale, dove si distribuivano le armi, e già s’era cinto la sciabola, quando uno sconsigliato (diceva lo studente) s’era messo ad insultarlo; lì Giulio s’era volto contro di lui, quando dieci e cento altri avevano preso la parte dell’insolente, e fra gli urli, gli oltraggi, gli schiamazzi mio figlio avea dovuto cedere al numero, abbastanza fortunato di salvare la vita. Ma alcuni dabbene che non volevano che quel giorno fosse macchiato di sangue fraterno lo avevano difeso colle loro armi.
— Spero — continuò lo studente — che il suo signor figlio otterrà giustizia, e che messe in chiaro le cose, egli otterrà nella guardia Nazionale quel posto che gli si compete come cittadino. —
E queste parole furono pronunciate in modo che significavano più compassione al padre, che rispetto e confidenza alla causa del figlio. Io avea capito anche troppo, anche quello che la pietà di quel giovane avea creduto opportuno di tacere: fui tanto padrone di me da ritirarmi rasente il muro, rifiutando il soccorso di chi voleva porgermi il braccio. Ma giunto che fui a casa mi sopraggiunse un violento assalto di convulsione, prima ancora che potessi porgere quella notizia all’Aquilina, accomodandola come avrei saputo meglio. Con un salasso, con