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capitolo ventesimosecondo. 537

— Capisco — risposi io — fin dove giunge la vostra docilità. Ma ti esorto a moderare la tua indole, a educare i tuoi sentimenti, perchè fino che tu non sia in grado di apprezzare i veri meriti d’un onest’uomo, oh no, perbacco, che non ti lascerò andare a marito!... Non voglio fare nè la tua, nè l’altrui rovina.

— Ti prometto, papà, che d’ora in poi tutte le mie cure saranno rivolte a moderare la mia indole e ad educare i miei sentimenti. Ma mi prometti almeno che la mamma non saprà nulla?

— Perchè vorresti che tua mamma non ne sapesse nulla?

— Perchè mi vergognerei troppo di comparirle dinanzi!

— Eh via, che un po’ di vergogna non ti starà male: vorrei anzi che la sentissi molto, per cercare di non averla a soffrire altre volte. Intanto ti avverto che non posso lasciar ignorare a tua madre una cosa che le darà la giusta misura della tua santità.

— Oh per carità, padre mio!

— No, non affannarti e non piangere!... Pensa a correggerti, ad esser sincera d’ora in avanti, a non invaghirti di frascherie e a non distribuire il tuo affetto con tanta leggerezza.

— Oh ti giuro, padre mio...

— Non tanti giuramenti; a ora di pranzo ti dirà tua madre quello che avremo disposto a tuo riguardo. Non v’è male che non abbia il suo rimedio: sei giovinetta ancora e spero che tornerai una buona figliuola, capace di fare la felicità nostra, e dell’uomo cui il cielo ti ha destinato, se la sorte vuole che ti accasi. Intanto pensa ai casi tuoi; e medita sulla sconvenienza di quelle azioni che costringono una figliuola ad arrossire dinanzi ai suoi genitori. —

Così la lasciai; ma era tanto sbalordito che nulla più. E quelle lusinghe di ravvedimento le avea buttate là per