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capitolo ventesimosecondo. 523

gioventù lo avevano persuaso che fuori della tranquillità, della buona tavola e del buon letto, non sono altre cose desiderabili al mondo; cotali opinioni le ostentava come segno di animo forte e d’indipendenza filosofica, facendosi merito di sprezzare la puerilità di chi metteva gran parte delle sue speranze nel contentamento di qualche desiderio meno umile.

Era la reazione contro il romanticismo, della quale quei volponi si giovavano per fuorviare i giovani secondo il loro interesse. E siccome altri giovani di più matura esperienza o più rettamente guidati si opponevano a quelli colla parola, coll’esempio, gridando che era un abbominio il negare così ogni idealità delle vita, e il rendersi come porci in brago, schiavi solo dei commodi e dei godimenti; quei maestri di corruzione soffiavano che eran gridate d’invidia e che non bisognava badarci, e che era tutto effetto d’ipocrisia, ma che ci voleva coraggio per beffarsi delle predicazioni di quei farisei. Giulio, che era di volontà forte e ricisa, non si buttava a mezzo in un partito: per lui quell’opporsi a visiera alzata alle censure dei puritani, come li chiamavano, fu una prova di coraggio, e tanto essi lo biasimavano, d’altrettanto egli esagerava la cinica scapestratezza dei costumi. Gioco, osterie, donne, erano le sue tre virtù principali; ne aveva molte altre di accessorie, e sopra tutte poi, quella ch’essi rimproveravano agli avversari, una profonda e spontanea ipocrisia. Messo ch’egli aveva il piede oltre la soglia della casa, senza nemmeno pensarlo, la sua persona assumeva un contegno composto, la sfacciataggine e la dissolutezza gli cadevano dagli occhi, e le labbra dimenticavano il solito frasario di bordello. Vicino a sua madre pareva un angelino; e quando io, per colpire il lato debole di quell’educazione cui l’aveva avviato, ripeteva quanto de’ suoi costumi mi riferivano le pubbliche voci, ella mi smaniava contro gridando che le erano falsità,