Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/529


capitolo ventesimosecondo. 521

tefice; ne parlava come d’un profeta, e tutta la sua conversazione se n’era scandalizzata perchè mai più s’immaginavano che la vecchia bigotta, la badessa emerita di Santa Teresa, plaudisse di gran cuore ad una papa che tirava più al politico che al sacerdote; almeno così credevano allora. Ma ignoravano forse il perchè la Clara si era fatta bigotta e monaca, e a quali condizioni s’era obbligata verso Domeneddio all’osservanza dei voti. Io non lo sapeva ancora di sicuro; ma da qualche mezza parola credeva già di poterlo indovinare.

Intanto in mezzo a questi torbidi il danaro si faceva più raro che mai; e fu allora che il conte Rinaldo mandò un ordine urgente al suo castaldo di Fratta, che gli si spedisse qualche soldo ad ogni costo; e il povero contadino si tolse d’impiccio vendendo i materiali che rimanevano del castello, e anticipandone al padrone il prezzo. Il conte con quella sommetta voleva aiutare la fondazione d’un giornale patriottico in non so qual città di terraferma; e così anche allora il danaro gli scappò dalle dita, e Clara rimase senza caffè, ed egli con poco pane: ma l’una pregando, l’altro leggendo e fantasticando, si difendevano valorosamente contro la fame. Qualche volta io ebbi la cristiana previdenza d’invitarlo a pranzo, ma era tanto svagato che benchè sovente avesse nello stomaco l’appetito vecchio d’un pajo di giorni, si smemorava dell’ora del pranzo, e non veniva che alle frutta. Peraltro rimesse che furono in movimento le mascelle, mostravano assai buona memoria del digiuno sofferto, e una discreta previdenza di non volerlo patire per un buon pezzettino di futuro.

Questo era il poco bene che poteva operare a vantaggio de’ miei cugini, dei fratelli della Pisana; del resto non aveva il coraggio di esibirmi conoscendo la loro permalosa delicatezza, ed anche qualche libbra di caffè, di cui l’Aquilina regalava la Clara, la facevamo giungere a loro di sop-