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512 le confessioni d’un ottuagenario.

CAPITOLO VENTESIMOSECONDO


Nel quale è dimostrato a conforto dei letterati come il conte Rinaldo scrivendo la sua famosa opera sul Commercio dei Veneti, si consolasse pienamente della sua miseria. — Tristissima piega di mio figlio Giulio, e temperamento comico della piccola Pisana. — I giovani d’adesso valgono assai meglio dei giovani d’una volta; e sbagliando s’impara, quando si sa ciò che si vuole, e si vuole ciò che si deve. — Fuga di Giulio e visita dei vecchi amici. — Feste e lutti pubblici e privati durante il 1848. — Ritorno in Friuli, dove alcuni anni dopo ricevo la notizia della morte di mio figlio.


Vi sarete accorti che di tutte le professioni cui io mi dedicai, a nessuna mi avea condotto il mio libero arbitrio; e che o la volontà degli altri, o la necessità del momento, o un concorso straordinario di circostanze m’aveano dato in mano il partito bell’e fatto, senza ch’io potessi pur ragionarci sopra. Nella negoziatura poi io m’era immischiato per puro riguardo a mio cognato; e se non me ne stolsi quando la Ditta Apostulos ebbe finito di liquidare i conti, fu solamente perchè il maneggio commerciale de’ miei piccoli capitali mi serviva a parar innanzi la famiglia. Intorno al quaranta peraltro essendo io divenuto vecchio e debole ancora negli occhi, e sommando già la mia sostanza a tanto, che anche impiegata in fondi poteva darmi di che vivere, deliberai ritirarmi affatto dal commercio. A ciò fare m’ingegnava da qualche tempo, quando l’Internunziatura di Costantinopoli mi diede avviso, che il governo ottomano avea finalmente riconosciuto in parte il credito di mio padre; e che se non la più grossa somma della quale si ritenevano debitori gli eredi del Gran Visir d’allora, almeno un rilevante capitale mi sarebbe pagato.

Lucilio, tre quattr’anni prima, m’avea già avvertito che l’Ambasceria inglese non avea trascurato quest’affare,