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capitolo ventesimoprimo. 503

la propria vecchiaja. Certo seppi dalla signora Clara ch’ella mancò nell’estate di quell’anno all’Ospitale.

Io l’avea incontrata parecchie volte, ma finto di non conoscerla perchè la sua sozza figura mi moveva proprio ribrezzo; e mi sapeva di sacrilegio l’unire la memoria di Leopardo a quella svergognata creatura. Peraltro anche la sua fine contribuì a persuadermi, che una suprema giustizia domina le vicende di questo mondo; e che vi sono sì molte e dolorose eccezioni, ma in generale ne resta confermata la regola che il male raccoglie male. Durante la giovinezza, quando l’animo bollente ed impetuoso non ha tempo di considerare le pienezze delle cose, ma s’arresta più facilmente ai particolari, è possibile il prender abbaglio. Di mano in mano poi che il giudizio si raffredda e che la memoria fa maggior tesoro di fatti e di osservazioni, cresce la confidenza nella ragione collettiva che regola l’umanità, e s’intravvede la sua salita verso migliori stazioni. Così non accorgiamo il pendio d’un torrente nello spazio di pochi piedi ma bensì a specularlo da un’altura in buona parte del suo corso.

Ci eravamo appena riavuti dallo sgomento di quella pestilenza, quando una sera, mi pare a mezzo novembre, mi fu annunciata la visita del dottor Vianello. Io era sempre stato in qualche corrispondenza con Lucilio, ma dopo il trent’uno quand’egli pure era venuto in Italia per ripartirne tantosto, le nostre lettere s’erano sempre fatte più rare. Allora poi non ne aveva notizia da più d’un anno. Lo trovai curvo, pallido e bianco affatto di quei pochi capelli rimastigli, ma negli occhi era sempre lui, l’anima forte e integerrima scaldava ancora le sue parole, quando alzava un gesto s’indovinava la vigoria dello spirito che covava in quel corpicciuolo asciutto e sparuto. — T’ho detto che verrò a morire fra voi! — mi disse egli. — Or bene, vengo a mantenere la mia parola. Ho settantadue anni,