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502 | le confessioni d’un ottuagenario. |
quando il fuoco della candela t’avrà incenerito le ali?...
Quest’era la mia paura; che qualche triste disinganno le togliesse ogni poesia dall’anima, e che restasse come quei sciagurati che si credono esseri spregiudicati, positivi, perfetti, e non sono altro che mostruosi bastardumi dell’umana progenie, corpi senza spirito destinati a corrompere per alcuni anni una certa quantità d’aria, e a popolare di vermi la cavità d’un sepolcro. Io lottava pertinacemente, come le mie occupazioni me lo consentivano, contro i dubbiosi istinti di quell’indole femminile; ma non altro faceva che arrestar il male senza poterlo togliere, anche perchè le parole dell’Aquilina contrastavano alle mie, e le compagnie ch’essa le faceva frequentare le offrivano esempi totalmente opposti a quelli, che si affacevano per confermare le mie belle teorie.
Il cholèra, se non altro, fu benemerito di spazzare il mondo da molte persone che non si sapeva il perchè ci fossero capitate. Uno dei primi ad andarsene fu Agostino Frumier che lasciò numerosa figliolanza, e fu accoratissimo di scender sotterra senza la chiave di ciambellano così lungamente ambita. Suo fratello ci perdette nella moria la vecchia correggitrice, che morì credo più di paura che di vero male; ed egli allora tornò così nuovo al mondo che credo si maravigliasse di non trovarsi in capo la perrucca, e di non veder il Doge e le cappe magne degli Eccellentissimi Procuratori. Dicevano per Venezia: «Ecco il cavalier Alfonso Frumier che è uscito or ora di Collegio.» Aveva all’incirca sessantacinque anni, e la signora correggitrice passavi settanta quando s’era decisa a morire. Per trovare una costanza simile a questa bisognerebbe risalire ai primordi del genere umano, quando non c’era che un uomo ed una donna sola. In quel contagio credo che morisse anche la Doretta, che dopo una vita piena di vituperi e di pellegrinaggi, era tornata in Venezia ad infamare