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500 | le confessioni d’un ottuagenario. |
,invincibile della coscienza che mi trattenne anche dopochè cessai di credermi obbligato a certe formule. Il fatto era che non credeva più, ma sentiva sempre di dover fare a quel modo; e poco cristiano alle parole, lo era poi scrupolosamente nei fatti in tutte quelle infinite circostanze nelle quali la moralità cristiana concorda colla naturale. Se voi mi proverete che diventando usuraio, spergiuro, venale, assassino, io sarei stato più utile alla società, consentirò allora con voi che sia perfettamente inutile dare un appoggio filosofico ed assoluto anche ai precetti morali della religione. Senzachè colla lettura del testo si può giocare di scherma, e stabilire contr’esso la battaglia ordinata della casuistica; ma coi sentimenti, eh maestri miei, non v’ha scherma o casuistica che tenga! Se si opera a ritroso ne siam tosto puniti dai rimorsi, che son forse meno formidabili ma più presenti dell’inferno.
Io non credo d’aver mai avuto il coraggio di schiccherare all’Aquilina una così lunga predica, chè allora non dubito che l’avrei persuasa; anzi colgo l’occasione di dichiararvi che per quanto parolajo e quaresimalista possa sembrarvi nel racconto della mia vita, all’atto pratico poi sono sempre stato assai parco di parole, e tre persone che avessi dinanzi più del solito bastavano per impegolarmi lo scilinguagnolo. Pure qualche volta bel bello venni con mia moglie su quel discorso; e battuto da una parte ci tornai dall’altra, sempre coll’ugual risultato di buscarmi nelle orecchie una solenne gridata. La lasciai dunque in balìa di disporre ogni cosa a suo modo, anche perchè tra padre e madre, in verità era imbrogliato a decidere quale avesse maggiori diritti dell’altro. A far pesare la bilancia dal suo lato contribuì anche non poco la circostanza del cholèra, il quale, penetrato allora per la prima volta in Italia collo spavento che accompagna le malattie contagiose ed insolite, mise tutta Venezia in grandissima costernazione.