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capitolo ventesimoprimo. 497

rale esecrazione; ma se vi fu sentimento che vincesse in veemenza e in universalità quell’odio postumo contro di lui, esso fu certamente quello che sorse nel cuore di tutti contro l’ingratitudine e l’empietà di suo figlio, che contrattò egli stesso le spese del funerale, adì l’eredità col benefizio dell’inventario, e rifiutò la mercede al medico perchè il passivo fu trovato maggiore dell’attivo.

Nonostante, i diverbi fra me e mia moglie su questo od altri argomenti consimili si ripetevano sempre più spessi, e finirono col guastare d’assai la nostra pace. Se io non m’avessi ridotto a mente le ultime raccomandazioni della Pisana, forse saremmo venuti a qualche grosso guaio; ma tirava innanzi con pazienza, e forse con maggior indulgenza che non convenisse alla mia qualità di padre, perchè della soverchia balìa lasciata in allora all’Aquilina sopra i figliuoli, dovetti pentirmi in appresso, e indurarne rimorsi tanto più acuti, quanto più vani e tardivi. La piccola Pisana pigliava sù quelle maniere solite dei torcicolli, che rendono sospette e spiacevoli perfino le virtù, e Giulio accarezzato, vezzeggiato dai maestri cresceva sempre in superbia, ed era oggimai tanto presuntuoso, da non si sapere come persuaderlo ch’egli avesse fallato.

Io capiva benissimo dove lo potevano condurre quei difettacci; che adulandolo e lusingandolo un pochino, ognuno lo avrebbe piegato a qualunque porcheria, ed egli avrebbe sempre creduto di essere dalla parte della ragione. Ma quanto al correggere queste male pieghe io la mandava dall’oggi in domane; anche perchè non voleva angustiare la loro madre, e sperava che da un giorno all’altro ella avrebbe aperto gli occhi sul loro conto. Per esempio a me non sapeva bene che ogni loro moralità si appoggiasse ciecamente all’autorità dicendo, che a quel modo dovevano fare perchè così era comandato. Avrei vo-