Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/501


capitolo ventesimoprimo. 493

ramento si partì raccomandando anch’esso che non tenessimo troppo occupato l’infermo in parole; ma lo si lasciasse riposare che aveva buonissime speranze. Non tardai a partecipare queste buone novelle all’Aquilina, e pochi giorni dopo ne ebbi in risposta che avevano bastato per guarirla affatto e che ci aspettavano a braccia aperte non appena Donato fosse in grado d’imprendere il viaggio. Intanto io aveva saputo da lui il motivo principale della sua repentina deliberazione. Ed erano state le esageratissime calunnie da lui udite in casa Fratta a danno dei repubblicani delle Romagne.

— Tante parolacce, — soggiunse egli — mi rivoltarono lo stomaco, e perchè non mi avea dato il cuore di rintuzzarle, mi decisi di far meglio e di mostrare col fatto in qual conto le tenessi!...

— Oh, figliuolo mio! — sclamai — che tu sia benedetto. — L’uomo vecchio risorgeva completamente in me. I giorni precedenti, assistendo alla penosa malattia di mio figlio, di gran cuore maladiceva fra me e me tutte le rivoluzioni: e solamente mi pentiva di queste maledizioni pensando che mia moglie avrebbe gridato anco lei per lo stesso verso; e siccome io l’aveva tacciata alcune volte di dappocaggine, non voleva darmi della zappa sui piedi. Ad ogni modo toccava al malato rianimare il sano; e così infatti m’intervenne. La guarigione andò per le lunghe più di quanto il medico si immaginava: e solamente in maggio potemmo metterci in viaggio a piccole giornate verso Bologna. La buona maestra ebbe una ricompensa, non adeguata al suo merito, ma alle nostre condizioni, ed essendovi un giovine che l’amava, e che l’avrebbe sposata senza la loro estrema povertà, io mi confido averle procurato maggior bene che per solito non si ottenga col danaro.

A Bologna si fece sosta parecchi giorni, e vi rappic-