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492 | le confessioni d’un ottuagenario. |
soggiunse, che avrei trovato di lì ad una mezz’ora quello di cui cercava.
— Oh per carità, in che stato si trova egli? — sclamai. — Per carità, mi dica il vero, signor Dottore; e non voglia ingannare un misero padre!
— State quieto — soggiunse egli — la ferita è profonda, ma non dispero di guarirlo. Egli è in buone mani, e miglior assistenza non avrebbe se avesse al capezzale una sorella e una madre. Di meno egli non meritava: intanto, vi prego, aspettatemi, e in pochi minuti sono con voi. Prudenza sopratutto, perchè son cose delicate, e viviamo in tempi difficili. —
Io non fiatai; scesi pian piano le scale, e quando fui in istrada ne andai su e giù, finchè vidi uscire il Dottore. Allora egli mi condusse in una casa di modesta apparenza, ove poichè ebbe preparato l’animo di mio figlio, mi introdusse nella camera ov’egli giaceva. Vi dica chi può la dolcezza di quei primi abbracciamenti! certo chi non fu padre non potrà nemmeno immaginarsela. Allora mi toccò confermare quello che sempre aveva creduto, cioè che se le donne non fossero al mondo per generarci, Dio le avrebbe dovute regalare agli uomini per infermiere. Una zitella piuttosto attempata, maestra di cucire che appena arrivava a tempo di campare la vita, aveva raccolto sulla via il mio Donato, e prestatogli tali cure, che non mentiva il Dottore dicendo che migliori nè più affettuose non le avrebbero prestate una sorella, o una madre.
Io ringraziai più a lagrime che a parole la buona giovine, e Donato si univa con me nel manifestarle la sua riconoscenza; ma ella si schermiva rispondendo che non aveva fatto più di quanto era debito di cristiana carità, e raccomandava al ferito di pensare a sè e di non agitarsi, perchè gliene poteva derivare qualche grave nocumento. Il Dottore esaminò la piaga, a trovatala in via di miglio-