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romore, il gridio cresceva sempre; io credetti che un puro e generoso entusiasmo trasformasse quei mezzi uomini in eroi, e mi precipitai nella piazza, gettando in aria la mia parrucca e urlando a perdifiato: — Viva la libertà! — Il general Salimbeni, appostato con qualche altro cospiratore, s’era già messo a strepitare in mezzo al popolo eccitandolo al tripudio e al tumulto. Ma la turba gli si scagliò contro furibonda, e lo costrinse a gridare: — Viva San Marco! — Quelle nuove grida soffocarono le prime. Molti, massime i lontani, credettero che la vecchia Repubblica fosse uscita salva dal terribile cimento della votazione. Viva la Repubblica! Viva San Marco! fu una sola voce in tutta la piazza gremita di gente; le bandiere furono inalberate sulle tre antenne; l’immagine dell’Evangelista fu portata in trionfo; e un’onda minacciosa di popolo corse alle case di quei patrizii, che erano in voce d’aver congiurato per la chiamata dei Francesi. In mezzo alla folla, incerto, confuso, diviso dai compagni, m’incontrai in mio padre e in Lucilio, forse meno confusi ma più avviliti di me. Essi mi presero fra loro e mi trascinarono verso la Frezzeria. Quei pochi patrizii, che aveano votato per l’indipendenza e la stabilità della patria, ci passarono rasente colle loro lunghe parrucche, colle loro toghe strascicanti. Il popolo faceva largo senza improperii, ma senza plauso. Lucilio mi strinse il braccio. — Li vedi? — mi bisbigliò all’orecchio — il popolo grida: Viva San Marco! e non ha poi il coraggio di portare in trionfo, e di crear Doge uno di questi ultimi e degni padroni che gli restano!... servi, servi, eternamente servi! —

Mio padre non si perdeva in sofisticherie; egli affrettava il passo come meglio poteva, e gli tardava l’ora di trovarsi nella sua camera per meditare al sicuro il prò ed il contro.

Un proclama della nuova Municipalità, che dipingeva la vile condiscendenza dei patrizi come un libero e spon-