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capitolo ventesimoprimo. 489

Russia prediligeva quest’ultima, poteva avere cento ragioni più buone che cattive; e in ogni occasione io son disposto a diffidare dell’Inghilterra e ad approvare chi ne diffida, benchè degli Inglesi uno per uno non possa dire che bene. La sposa di mio figlio, la quale dimorava allora presso il conte con pompa quasi principesca, non poteva certo pretendere a gran vanto di bellezza. Io che ebbi sempre, e l’ho ancora malgrado lo scirocco della vecchiaia, una maledetta propensione per le belle donne, non ne fui alle prime gran fatto contento. Ma poi guardandola meglio, intravidi quel calmo trasparire nel sorriso e negli occhi della bontà dell’animo, che tien luogo perfin di bellezza. Non sarebbe stata una donna greca, ma una buona moglie; e così mi rappacificai con mio figlio, perchè s’avesse scelto per isposa la parente d’un mezzo principe. Ma bisogna convenire che l’Argenide era più impicciata che superba dal fasto che la circondava; e anche da questo rilevai un buon pronostico per la sua indole, e per la felicità di Luciano.

Le nozze furono celebrate con gran pompa; e siccome Luciano aveva buon nome fra i soldati, il conte Capodistria ne racquistò qualche popolarità. Credo anzi che nel concederla egli avesse in mente questo buon fine politico; ma Luciano aveva anche lui in mente i suoi fini, e non guardò pel sottile se ai proprii meriti o ad altre considerazioni del Presidente, dovesse ascrivere quella fortuna. Io rimasi qualche tempo in Grecia visitando il paese e ammirando del pari e gli avanzi dell’antica grandezza, e i segni delle ultime devastazioni, monumenti di genere diverso ma che onoravano del pari quel poetico paese. Luciano non avrebbe voluto che partissi mai più, l’Argenide mi dimostrava una vera tenerezza figliale, il conte Capodistria accennava a voler far di me qualche cosa di grosso, un Ministro delle Finanze o che so io. Ricordai allora sorridendo i sogni