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capitolo ventesimoprimo. 485

parte a parte. Tuttavia mi sfiorò una mammella, e ne fece zampillare il sangue: nè il ghigno che gli vidi sul volto in allora cooperò poco a rinfiammarmi di furore. Mi slanciai innanzi con due rapide finte e, mentre egli sorpreso, atterrito, armeggiava a destra e a sinistra, e pensava credo di gettar via la spada e di fuggire, gli cacciai mezza la lama in un fianco e lo mandai a rotolare nel fosso.

Non ebbi a soffrire verun fastidio per questo duello, benchè il codice di quel tempo lo punisse assai severamente. Quanto a Raimondo guarì della ferita, ma nel cadere si era fratturato il femore, e ne rimase sconciamente sciancato. Credo che d’allora in poi egli si lodò sempre di me e della Pisana come de’ suoi migliori amici; o le sue mormorazioni furono così guardinghe e segrete che non mi obbligarono a nessun atto spiacevole. L’Aquilina venne a cognizione di quella mia scappata giovanile, e non vi dirò i rimbrotti e le lavate di capo che mi toccò subire. In onta peraltro alle continue dissensioni, la nascita d’un terzo figliuolo, cui tenne dietro due anni dopo quella d’una bambina, provarono abbastanza che in qualche momento andavamo anche troppo d’accordo. Dico troppo; perchè dopo tanto tempo di tregua io non desiderava certamente questa crescenza di famiglia; ma poichè la natura aveva voluto operare per noi un mezzo miracolo, io ebbi il buonsenso di esserlene grato e di rassegnarmi. Il fanciullo ebbe nome di Giulio e la bambina Pisana, in memoria di due cari che ci avevano preceduto nel regno dell’eternità.

A quel tempo tutti i capitali della casa Apostulos erano passati in Grecia, ove Spiro molti ne aveva erogati a sussidio della nazione, e alcuni anche impiegatine nell’acquisto di fondi nelle vicinanze di Corinto. La guerra dell’indipendenza era scaduta a contesa diplomatica. Dopo la distruzione della flotta turca a Navarino, Ibrahim Bascià coi suoi Egiziani teneva debolmente qualche posizione della