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482 le confessioni d’un ottuagenario.

— Benone! Voi avete una fantasia feconda, caro generale, e un ingegno che accomoda tutto. Aveva un gran naso chi vi ha fatto generale!... Ma cosa direste se vi si raccontasse che nell’ultima rivoluzione di Napoli, il bel Carlino, benchè avesse i suoi quarantacinqu’anni sonati, spiccò il volo un’altra volta, e si lasciò mettere in gattabuja, e che andava a rischio di perdervi la testa, se la Pisana non piantava lì marito e genuflessorio per correre a intercedergli grazia, e a fargli tramutare la condanna in una relegazione?... Cosa direste se vi raccontassi che essendo rimasto cieco e al verde di quattrini l’amante, essa per due anni fu con lui in Inghilterra sostentandogli la vita colle peggiori fatiche?

— Eh via! Matta, matta! — brontolò col suo accento oltramontano il Partistagno. — O matto io a credervi, e voi a contare simili fole!

— Sono tanto vangelo! — ripigliò calorosamente Raimondo. — E già v’immaginerete qual era il mestiero da cui la Pisana ritraeva i suoi guadagni... Una donzella veneziana non ne sa molti, me lo consentirete. Or dunque bisogna fare di necessità virtù... Ad onta de’ suoi quarant’anni l’era così bella, così fresca, che ve lo giuro io, molti anche non inglesi sarebbero rimasti accalappiati... L’amico Carlino poi sapeva tutto e pappava in pace... Eh, che ne dite? eh! che buon stomaco!... Peraltro, lo ripeto, bisogna fare di necessità virtù!...

Più anche delle indecenti menzogne di Raimondo, mi scaldavano la bile i sogghigni e le risate della brigata che tennero dietro alle sue parole. Perdetti ogni ritegno e precipitandomi nella stanza ove sedeva quella combriccola, m’avventai addosso a Raimondo, stampandogli in viso lo schiaffo più sonoro che abbia mai castigato l’impudenza d’un calunniatore.

— Anch’io faccio di necessità virtù! — gridai in mezzo alla confusione di tutti quei conigli, che o