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capitolo ventesimoprimo. 481

— Eh, eh! Ci son corsi sopra altro che anni! — soggiunse Raimondo — ne avrò delle belle da raccontarvi giacchè siete tanto in addietro. Prima di tutto sapete la conclusione: la bella Pisana è morta.

— Morta! — sclamò il Partistagno; — Non lo avrei mai creduto; le donne non muoiono così facilmente.

— Infatti la Pisana vi ha durato una grandissima fatica — continuò Raimondo. — Figuratevi che ha fatto la serva per due anni al suo amante; ve ne ricordate?... A quel Carlino Altoviti...

— Sì, sì, me ne ricordo!... Quello che girava lo spiedo a Fratta e che poi è stato segretario della Municipalità.

— Per l’appunto. Or dunque la Pisana sembra che alla sua maniera gli volesse un gran bene a quel Carlino. Del novantanove furono insieme a Napoli e a Genova, sempre col consenso di quell’ottimo Navagero che l’avea sposata: in seguito vissero fra loro come marito e moglie a varie riprese finchè, non si sa come, essa incastrò nei fianchi all’amante una ragazza di campagna e gliela fece sposare. Sapete che fu una bella scena! Ognuno volle farvi sopra i suoi commenti, ma non si venne in chiaro di nulla! Voi, caro generale, che avete una sì fervida immaginazione, dovreste sciogliere il problema. Via, udiamo: cosa ne direste?...

— Eh!... secondo!... distinguo!... scommetto che ella era stufa morta di lui, e che per liberarsene per sempre gli ha cacciato alle coste una moglie!...

— Bravo generale! Ma cosa rispondereste se io vi dicessi ch’ella tornò allora a Venezia, e che si diede corpo ed anima a curar le piaghe di suo marito e a biascicar paternostri e deprofundis colla vostra badessa?...

— Cosa direi... Giurabbacco!... Direi ch’ella voleva far pace con Domeneddio, e che per questo appunto si è liberata dell’amante.