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CAPITOLO VENTESIMOPRIMO.


Come io cooperassi a risvegliare in Venezia qualche attività commerciale, principio se non altro di vita, e come il maggiore de’ miei due figli partisse con lord Byron, per la Grecia. — Un duello a cinquant’anni per l’onore dei morti. — Viaggio di nozze a Napoli di Romania, e funebre ritorno per Ancona nel marzo del 1831. — La morte mi toglie il mio secondogenito e fa man bassa sopra amici e nemici. — Essa trova un potente alleato nel cholèra. — Un collegiale di sessantacinque anni.


Si sanno le cagioni per cui è caduta Venezia: e quelle cagioni stesse fecero sì, che neppur potesse rialzarsi all’attività della vita materiale. Il destino vi ebbe la maggior colpa, perocchè il torpore medesimo del governo e l’infiacchimento del popolo derivarono dalla chiusura di quelle vie, per le quali si esercitava con massimo buon frutto l’attività sì dell’uno che dell’altro. Che colpa ci ebbero i Veneziani se Colombo e Magellano crearono nuovi commerci a profitto d’altre nazioni, e se Vasco di Gama aperse nuovi scali alle merci dell’Oriente? I Veneziani durarono audaci e meravigliosi mercanti, finchè fu loro possibile vendere le merci dei paesi lontani con benefizio maggiore degli altri concorrenti; serbarono abitudini e forze guerresche, finchè quel vasto e ardito commercio abbisognò d’una poderosa tutela. Cessato l’incentivo dell’utile, cessò il naturale richiamo alle antiche e gloriose tradizioni; cessarono le spedizioni ormai troppo costose e poco proficue, al Mar Nero ed alla Siria, dove si scambiavano le manifatture europee colle merci della Moscovia, dell’India e della China portate dalle carovane; cessò lo spirito militare, che in essi come negli Inglesi altro non era che un difensore della prosperità commerciale.

Così fu tolta a Venezia ogni ragione d’esistenza ed ogni azione nella civiltà. Continuò a vivere per consuetu-