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capitolo ventesimo. 457

parole che avrei udito da te, e che così mi avvilisci agli occhi miei, e mi togli quel lievissimo premio, col quale io partiva tutta beata?... Oh Carlo, se mi ami ancora, tu non vorrai vedermi morire fra le paure e i rimorsi! Sai che quando voglio una cosa, la voglio la pretendo ad ogni costo! Or bene, io voglio e pretendo, che la mia morte a me tanto facile e soave, non sia la disperazione d’una intera famiglia, e non tolga a tutto un paese, ed all’umanità tutto quel bene che puoi, che devi ancora operare!... Carlo, sei tu forte, animoso? Hai fede nella virtù e nella giustizia? Giurami allora che non sarai vile, che non abbandonerai il tuo posto, che misero o felice, accompagnato o solo, per la virtù per la giustizia combatterai fino all’estremo!

— Oh Pisana, cosa mi chiedi mai? Come credere alla virtù e alla giustizia, quando non ti abbia al fianco, quando una vita come la tua ottenga una sì misera ricompensa?

— Una vita come la mia è così invidiabile, che beati gli uomini, se potessero averne ciascuno una di simile! Una vita che principia coll’amore, e termina col perdono, colla pace, colla speranza, per sollevarsi in un altro amore che non avrà più fine, è tanto superiore ad ogni mio merito che ne ringrazio, e ne benedico Iddio, come d’un dono grazioso. Ma una sola felicità mi manca, la quale anche son sicura di ottenerla, perchè è in tua potestà il concederla. Giurami, Carlo, giurami quanto ti ho domandato. No, non sarà mai vero, che tu nieghi a me l’unica grazia che ti chiedo, supplicandoti per quanto hai di più sacro e di più caro al mondo, per la memoria, per l’eternità dell’amor nostro!

— Oh Pisana, io non ho mai violato alcun giuramento!

— E per questo appunto te ne scongiuro; vedi, la felicità de’ miei ultimi momenti pende ora dalla tua volontà, dalle tue labbra!