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452 le confessioni d’un ottuagenario.

cilio aveva accompagnato mia moglie, mio cognato e i miei ragazzi a vedere non so quali meraviglie di Londra; ell’era più pallida ma più allegra del solito; speravo sempre che nel suo bizzarro temperamento anche la salute potesse ravvivarsi d’improvviso sfuggendo alle regole comuni degli altri esseri, e che il male non fosse irreparabile con quella festività d’umore che allora le rinasceva.

— Pisana, — le dissi, — il mese venturo potremo essere a Venezia. Non ti pare che soltanto il pensiero ci faccia bene? —

Ella sorrise levando gli occhi al cielo, e non rispose nulla.

— Non credi — continuai — che l’aria nativa, la pace che gioiremo tutti uniti e tranquilli, finiranno di guarirti dalla melanconia?

— Melanconia, Carlo? — mi rispose. — E come t’immagini mai ch’io sia melanconica?... Avrai osservato che una vera giocondità naturale e continua non l’ho mai avuta; erano sprazzi di luce, lampi fuggitivi e nulla più. Sono sempre stata una creatura molto variabile, ma più sovente taciturna e ingrugnata. Soltanto ora mi sorride un bel tempo di serenità e di pace; non mi son mai sentita così calma e contenta. Credo che ho recitato la mia parte e spero qualche applauso.

— Pisana, Pisana, non parlare così!... Tu meriti molto maggiori applausi che noi non ti possiamo dare, e li avrai. Torneremo a Venezia; là....

— Oh Carlo! non parlarmi di Venezia, la mia patria è molto più vicina, o lontana se vuoi, ma ci si arriva con un viaggio molto più rapido. Lassù, lassù, Carlo!... Vedi; la Clara mi ha fatto se non altro credere e sperare nella misericordia di Dio. Non è giunta a cacciarmi in capo la sua teoria dei peccati; ma pel resto ci credo, e m’aspetto di non esser punita troppo severamente del poco male che senza volerlo ho commesso. Tutto quel poco bene che poteva fare io l’ho fatto;