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capitolo ventesimo. 451

certo nè da lei mi possono venire esempi, nè da voi consigli indegni di me. —

Così finì quel colloquio, per me assai memorabile, e che decise forse di tutta la mia vita avvenire. Io rimasi perplesso e costernato assai; ma la fortezza d’animo di Lucilio mi avea in certo qual modo ritemprato, e perciò mi proposi di dargli retta raccostandomi alla Pisana, e cercando di riparare ai mali involontariamente commessi coll’accordare la mia condotta ai suoi desiderii, e darle così la più alta testimonianza che si potesse d’amore e di devozione. Pur troppo sulle prime que’ miei tentativi mi sconfortarono più che altro: la povera Pisana faceva il possibile di sfuggirmi, pareva che sentendosi in procinto di abbandonarmi non volesse trovar piacere alla mia compagnia, per provar poi maggiori angosce nel momento della separazione. Od anche le dispiaceva che io le dimostrassi qualche preferenza in confronto dell’Aquilina.

Ad ogni modo, non mi scoraggiando per que’ suoi forzati dispetti, e continuando a dimostrarle con ogni maggiore accorgimento la mia gratitudine, e il profondissimo rammarico di non averla dimostrata meglio e prima d’allora, giunsi a vincere quell’ostinata ritrosia e a rimenarla ben presto all’antica confidenza. Mio Dio! qual tormento era per me il veder ravvivarsi dentro agli occhi suoi la fiamma della vita, e assistere insieme al continuo deperimento delle sue forze, che a mala pena le reggevano la stanca e stremata persona!... Qual terribile spettacolo la giocondità con cui accoglieva quel mio ritorno alla tenerezza di una volta; e la spensierata rassegnazione che la faceva scrollare le spalle e sorridere, quando accennava del suo futuro! Un giorno io avea parlato con Lucilio, il quale mi assicurava che se le cose procedevano a quel modo, avremmo potuto arrischiare nella settimana seguente il viaggio verso Venezia. La sera mi trovai soletto colla Pisana, perchè Lu-