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capitolo ventesimo. 441

poter tentare qualche cosa a vantaggio della Pisana prima che non avrei creduto. —

Quando tutti furono usciti dalla stanza in coda al dottore per ringraziarlo d’un tanto benefizio, o fors’anco per informarsi di quanto dovevano credere alle parole dette in mia presenza, la Pisana mi si accostò pianamente, e sentii il suo tiepido alito che m’accarezzava le guance.

— Pisana, — mormorai, — quanto fosti ammirabile d’amore e di pietà!!... —

Ella fuggì via inciampando nei mobili della stanza, e due singhiozzi le sollevarono il petto ansiosamente. Mia moglie che rientrava la incontrò sulla porta...

— Come ti pare che vada il nostro malato? — le domandò.

— Io spero che andrà bene; — rispose ella con uno sforzo supremo. — Ma non potè resistere più a lungo. E fuggì ancora e corse a rinchiudersi nella sua stanza prima che l’Aquilina avesse neppur tempo di avvertire il suo turbamento. Allora compresi un’altra volta tutta la forza e la nobiltà di quell’anima, e dalla sua camera ch’era all’altro capo della casa mi pareva udire il suo pianto, i suoi singhiozzi, ognuno dei quali mi dava nel petto un colpo crudele. Per tutto quel giorno non pensai alla mia vista; e coloro che si occupavano di essa mi davan stizza e fastidio. Si trattava ben d’altro che di due stupidi occhi!...

Lucilio veniva sovente a visitarmi, ma di rado potevamo trovarci soli; pareva anzi ch’egli sfuggisse le mie confidenze. Nulla ostante io lo chiedeva spesso della salute della Pisana e se la lusinga di tornare a Venezia avesse operato quel buono effetto che si sperava. Il dottore rispondeva con mezzi termini senza dire nè sì nè no; ella poi, se anche entrava nella mia stanza, non apriva bocca quasi mai; io me ne accorgeva dal minor chiasso che facevano i miei figliuoli, certo perchè la sua mestizia im-