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capitolo ventesimo. 437

cilio, come?... Deggio io allontanarla, cacciarla da me, ora che sembro non aver più bisogno della sua assistenza?

— Tutt’altro: dovete anzi riaccompagnarla voi. E ch’ella continui ad avere nella vostra famiglia quell’intimità di affetto, senza la quale non possono durare temperamenti simili al suo. Quando la forza smoderata della sua anima troverà altre azioni in cui sfogarsi, altri miracoli da tentare, altri sacrifizi da compiere, il passato perderà per lei ogni tormento, i desiderii impossibili s’adagieranno in una dolce e contenta melanconia. Riavrete un’amica, e una sublime amica!...

— Oh volesse il cielo, Lucilio! Domani partiremo per Venezia!

— Vi dimenticate due cose. La prima che ho promesso di rendervi la vista; la seconda che non avete facoltà di tornare a Venezia senza pericolo. Ma mentre m’adoprerò di procurarvi questa, le cateratte si matureranno e vi prometto che vedrete il pallido sole del Natale.

— E non si potrebbe affrettarsi?... Non per gli occhi miei, Lucilio, ma per lei, per lei solamente!... Credo che anche adesso potreste tentar l’operazione...

— Bravissimo Carlo! Vorreste che vi accecassi affatto per pagar forse cogli occhi vostri un gran debito di riconoscenza?... Umiliatevi, amico mio, due occhi non bastano; è meglio serbarli, e pagheranno poi colle occhiate molto e molto di più. Voi avete un credito colla Turchia, il quale appoggiato a sole rimostranze private non vi frutterà mai nulla. Volete che io cerchi di venderlo a qualche inglese?... L’Inghilterra ha qualche diritto ora alla benevolenza della Porta Ottomana, poichè sono vascelli di Londra, di Liverpool e di Corfù che la aiutano nella santissima opera di martirizzare la povera Grecia. L’Inghilterra è madre amo-