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436 le confessioni d’un ottuagenario.

quella santa impostura portata tant’oltre da lasciarsi quasi credere vera, per non turbare la pace d’una famiglia da lei stessa, si può dire, composta?... Quanto falsi erano stati i miei giudizi intorno a quell’animo, vacillante forse nei piccoli sentimenti, ma costante e indomabile nella grandezza quanto non lo fu alcun altro giammai!... Il suo fare più sostenuto all’annunzio del prossimo arrivo dell’Aquilina, que’ suoi impeti di tenerezza subitamente frenati e la sua melanconia successiva, il suo volontario allontanamento da me, tutto contribuì a farmi capace della verità di quanto affermava Lucilio. Due anni interi aveva errato col mio giudizio: ma il mio medesimo errore era una prova dell’estrema sua delicatezza, e dell’assidua perseveranza colla quale avea mantenuto i suoi eroici proponimenti.

— Dottore, — risposi con voce tanto commossa che stentava ad articolar parola; disponete di me. — Dite, parlate, insegnatemi un mezzo da salvarla. La vita di me e di tutti i miei, sì, tutto basterà appena a ricomprare tanti sacrifizii! Il meno ch’io le possa offrire è tutta intera la vita che mi rimane!

— Pensiamoci, Carlo; son qui con voi apposta. E la salute di tutti i miei illustri clienti, credetelo, mi dà minor pensiero che un rammarico, un sospiro, un lamento solo della Pisana. Ella avrebbe il diritto di vivere tutti i suoi giorni pieni, felici; e di morire per un eccesso di gioja.

— Non parlate di morire! per carità non parlatene!

— E cosa sapete voi che per certe anime eccessive e privilegiate la morte non sia una ricompensa?... Tuttavia ragioniamo come si ragiona per tutti. La sola maniera ch’io vegga di redimerla è collocarla ancora in qualche necessità di pazienza e di sacrifizio. Rendetela a suo marito: vicino al suo letto ella riavrà la forza di vivere: fors’anco l’aria nativa aiuterà questo rifiorimento della salute.

— Rimandarla a Venezia, voi dite?... Ma come, Lu-