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capitolo ventesimo. 435

— Una verità, volevate dire.

— Un sacrilegio, vi ripeto. Sapete cosa faceva per voi la Pisana, quand’io l’ho incontrata pallida, estenuata, cenciosa per le vie di Londra?

— Sì... orbene?...

— Tendeva la mano ai passeggieri!... Ella accattava, Carlo, vi accattava la vita!

— Cielo! no, non è vero!... È impossibile!

— Tanto impossibile, che io stesso le porgeva non so quale moneta, quando... Oh ma vi posso descrivere quanto provai nel ravvisarla?... Come dirvi il suo smarrimento ed il mio?

— Basta, basta! per carità, Lucilio; la mia mente si perde e vengo meno di dolore volgendomi a guardare dove siamo passati!

— E dubiterete ancora dell’amor suo?... È un amore senza misura e senza esempio, un amore che la tiene in vita, e che la farà morire!...

— Pietà, pietà di me!... no, non parlate a questo modo!

— Parlo come un medico, e vi dico intera la verità. Ella vi ama ed ha imposto a se stessa di non palesarvi l’amor suo. Questo sforzo continuo, più che i patimenti, i dolori, le veglie, le logora la salute... Carlo, aprite gli occhi sopra tanto eroismo, e adorate la virtù d’una donna a cui voi non osaste fidarvi!... Adorate, vi dico, questa vergine potenza della natura, che innalza gli slanci disordinati d’un’anima alla sublimità del miracolo, e la trattiene là sospesa per la sua stessa forza, come l’aquila sopra le nubi!...

Infatti io era prostrato dalla sublimità di quella virtù, che non avrei quasi osato sperare da anima umana. La Pisana poi, chi l’avrebbe creduta capace di quella pudica riservatezza, di quell’abnegazione umile nascosta, di